Il sistema lavorativo tedesco, visto da fuori, me lo immagino come una potentissima macchina da guerra, un’organizzazione strutturata, gerarchica, diabolicamente perfetta, in cui ciascuno ricopre un ruolo chiave, si fa il mazzo, e porta a casa gli obiettivi contribuendo alla crescita globale di una nazione solida e forte. Spaccheranno le palle a mezza Europa per qualche ragione o no?
Arrivando da un contesto come quello italiano, dove la paga minima sindacale è un’amichevole pacchetta sulle spalle, o al massimo un Voucher da 70 centesimi all’ora, le aspettative sono sempre molto alte. Si arriva qua con la convinzione di poter cambiare la propria vita in meglio, intanto perché peggio di quello che si lascia, è difficile trovarlo, e secondo perché effettivamente la Germania ha molto da offrire se si hanno tutte le carte in regola.
Dopo due anni qui devo ammettere che, sotto certi punti di vista, abbiamo tanto da imparare dagli amici tedeschi. In pochi però, considerano il fatto che anche loro hanno qualcosa da imparare da noi (se solo riconoscessero la necessità di doverlo fare). Non mi riferisco sicuramente a materie come la schiavitù aziendale, politiche per i giovani, tutele per le partite Iva, no, no. In quello siamo maestri indiscussi. Quello che i tedeschi dovrebbero prendere da noi, sono aspetti legati all’approccio alla vita, alla capacità di analisi creativa quando le cose non vanno come si vorrebbe, il sorriso, la volontà di lasciarsi andare (ogni tanto, solo ogni tanto) e di prendere la vita con una maggiore leggerezza.
Nessuno è perfetto, ma se ci sforzassimo di interiorizzare il meglio che ogni cultura ha da offrire, forse le cose girerebbero meglio per tutti. In questo articolo, vorrei sfatare dei miti, per quel poco (pochissimo) che ne so, della perfezione made in Germany. Se i problemi in Italia fossero questi, probabilmente di cervelli ne sarebbero scappati la metà, comunque anche qui ho riscontrato delle minuscole falle, e vorrei raccontarvele, a modo mio:

  • Contratto a tempo indeterminato: a differenza dell’Italia, dove per averne uno devi prima attraversare i gironi dell’Inferno dantesco, strisciare sui pavimenti e mostrare fedeltà e gratitudine eterna, qui un indeterminato si può ancora ottenere abbastanza facilmente. Anche in Germania, qualsiasi sia l’azienda in cui si viene assunti, e qualsiasi sia il ruolo, è previsto un primo periodo di prova (sei mesi), in cui il datore di lavoro, o il lavoratore, possono interrompere il rapporto con due settimane di preavviso, senza troppe moine. Allo scoccare del sesto mese il preavviso passa da due a quattro settimane. Puoi prenderlo in quel posto praticamente sempre, ma a differenza che da noi, il licenziamento non viene vissuto come il fallimento personale più grande della propria vita, è culturalmente accettato. E bravi tedeschi!
  • Tredicesima: qui in Germania questa mensilità la chiamano “attaccati a sto gran cazzo” e viene elargita sotto forma di pernacchia anziché tramite bonifico bancario.
  • Il saluto: è una possibilità, non una costrizione. Se a fronte di un ciao o di un arrivederci si viene ricambiati con il silenzio, non bisogna offendersi, la buona educazione non ha niente a che fare con la libertà che caratterizza questo simpatico popolo. Dimenticate ciò che vi ha insegnato la mamma: “il saluto non si nega a nessuno, salutare è segno di civiltà, saluta sempre quando entri in un posto”: cazzate. Il collega tedesco è un anarchico della parola, emancipato dalle costruzioni sociali universalmente riconosciute, padrone delle proprie vocali e consonanti. Però ti dice ciao se ti incontra al cesso: ma che problemi hanno?
  • Il raffreddore: i sintomi influenzali sono il nemico numero uno dei colleghi tedeschi. Al minimo colpo d’aria cominciano a girare come se fossero stati investiti da un’epidemia di colera irreversibile, si trascinano a stento, occhi lucidi, naso arrossato, trasudano simpatia e ti vengono a tossire al tavolo scusandosi per il possibile rilascio di agenti infettivi. Starnutiscono? Stanno andando incontro a morte certa. Hanno mal di pancia? Ti guardano come si stessero chiedendo “chissà se supererò la notte“. Non so se questi colleghi si aspettano di ricevere in cambio compassione, ammirazione, parole di conforto. Ma se stai male che minchia ci vieni a fare in ufficio? Chiuditi in casa no?
  • Quelli che hanno capito tutto: esiste poi un’altra tipologia di colleghi, quelli che spariscono dall’ufficio per giorni, settimane, tanto che alla fine non ricordi più i loro volti, le loro voci. E dove sono? Ammalati. Certificati medici lunghissimi da fare invidia a Rocco Siffredi. Qui i dottori hanno davvero dell’incredibile: l’anno scorso sono incappata per caso in un virus abbastanza antipatico. Dopo alcuni giorni di sofferenze, poiché l’Imodium aveva fallito nel suo scopo, ero così disperata che mi sono dovuta rivolgere a un medico. Ed è stata la mia salvezza. Senza neanche troppi giri di parole mi ha dato una settimana di malattia, al che mi è preso un colpo. Va bene la premura, ma comunque l’ho trovato un po’ eccessivo (naturalmente ero felicissima di quel riposo forzato). Solo dopo ho capito perché mi avesse ordinato tutti quei giorni a casa: dovevo presentarmi ogni 48 ore per fare le analisi del sangue, ha voluto che facessi l’ecografia all’addome, e altri controlli più “approfonditi” alla clinica universitaria. Mi ci sarebbe voluto un congedo! Comunque grazie a lui ho potuto godere di un po’ di tranquillità, conoscere metà dei medici che lavorano a Berlino e incontrare un infermiere veramente, ma veramente bono.
  • Stress victim: ci sono poi i portatori sani di panico, che si riconoscono a chilometri di distanza. Non tengono mai la stessa posizione sulla sedia, articolano i movimenti con una sequenza di tic nervosi che generano ansia in chi li guarda, assumono delle espressioni facciali che vanno dalla disperazione, al pazzo, all’euforico, tutto contemporaneamente. Quando si presenta una situazione “grave” da gestire, il collega panic-friendly allerta tutti i reparti dell’ufficio, raccontando con foga l’insormontabile problema, tutti sono chiamati in causa: “Oddio come faremo? Convochiamo il consiglio di amministrazione o andremo incontro al fallimento certo”. Si era rotto un chip.
  • La punteggiatura: ve lo immaginate di scrivere una mail formale a un fornitore o un possibile partner commerciale finendo le frasi con una serie infinita di punti di domanda e punti esclamativi? In Germania non solo è possibile, è una prassi consolidata. Capita spesso di leggere cose tipo: “sarei grato se mi inviasse un’offerta!!!“, oppure, “avremmo necessità di sostituire il vecchio sistema x con il nuovo y!!!!“, ma anche, “avete ricevuto la fattura 1356???“. Dio, che fastidio. Mi chiedo solo, ma perché? Perché lo fanno? Che bisogno c’è di caricare il tono di una frase qualunque con millecinquecento segni di interpunzione? Per loro non significa niente, sono solo punti di domanda e punti esclamativi. Nessuno alle elementari li ha guidati nel dosaggio di questi simboli, e l’altro giorno ne ho avuto l’ennesima conferma: un collega più giovane (anche lui bellino forte) mi scrive una mail in cui mi dice di seguire una determinata procedura ogni volta che effettuo una modifica sul sito web aziendale. Il che va benissimo, non fosse che a conclusione del messaggio c’erano una fracassata di !!!!!! come se mi stesse sgridando, un monito per non commettere più quell’errore. Al che, le ovaie hanno cominciato a girarmi parecchio, chiaro segnale che dovevo ribaltare dalla sedia quel ragazzino impertinente e insegnargli un po’ di rispetto. Che poi, chi cazzo l’ha mai fatta una modifica sul sito?? (con doppio interrogativo). Gli mando così la mia risposta tagliente, fiera come non mai. Ma quello in realtà era tranquillissimo e dolce come sempre, per lui uno o diecimila punti esclamativi sono la stessa cosa. Maledette differenze culturali.

Enfatizzazioni a parte, tutti dovrebbero avere la possibilità di lavorare con persone di nazionalità diversa, per crescere sia umanamente che sotto il profilo professionale. Se ne traggono innumerevoli benefici che aiutano a vedere il mondo con occhi preparati e riflessivi, e inducono all’apertura mentale più che al giudizio affrettato e superficiale di cui spesso si è vittime. È bello confrontarsi e conoscersi tra un Tiramisù fatto in casa e una zuppa di patate e würstel, ci si può davvero arricchire con poco. Certo, ancora non sono riuscita a convincere i colleghi tedeschi della fondamentale importanza che il bidet ricopre nella vita di tutti i giorni, ma per lo meno stanno mostrando una certa curiosità, il che è già qualcosa!!!! 🙂