Quando l’emigrato torna a casa

Quando l’emigrato torna a casa, un mix di pensieri e sensazioni si affollano nella sua testolina. Prima ancora del viaggio fisico, comincia quello mentale, in cui si immagina spiaggiato come un mammifero eutero, cullato dalle onde che delicatamente si infrangono sul bagnasciuga, spettinato dal soffio della brezza marina.

Un po’ ci spera sempre, l’emigrato, che a recuperarlo in aeroporto ci sia il comitato d’accoglienza del quartiere con le sue massime rappresentanze. Ma anche stavolta, ad abbracciarlo, si presenta un monogenitore, scazzato per il ritardo dell’aereo e per la mezz’ora di sonno perduta.

Welcome back home!

Dopo la prima notte insonne per il caldo, la luce dei lampioni, i gatti che si menano per strada, e un cuscino da troppo tempo trascurato, ecco che l’emigrato è pronto per la sua prima giornata di vacanza. L’ha sognata per tante settimane quella piacevole sensazione di noia mortale, che solo poche volte all’anno si può concedere; ma ecco che, mentre fa capolino in cucina per la colazione, sbuca un foglio sul tavolo, e non un fogliettino qualunque, ma un A4 di tutto punto, e non si preannuncia niente di buono.

L’emigrato non può sottrarsi agli impegni quotidiani previsti nella routine della casa madre. C’è da comprare questo, da spostare quello, da accompagnare quell’altro, da aspettare che arrivi codesto. Si impossessa allora dell’emigrato un leggero senso di colpa, d’altronde lui non c’è mai, e non può far finta che gli altri non abbiano bisogno del suo supporto, anche se per poco.

Dolori e lamenti

Finite le faccende, eccolo in versione psicologo, mentre si fa carico con eroica pazienza, delle varie problematiche che affliggono la metà dei suoi conoscenti. Solo allora si rende conto che la sua vita all’estero, è protetta dentro una bolla di sapone, e così vuole che resti. Immacolata.

Quando tocca la sabbia rovente di mezzogiorno con i suoi piedini anemici, scoppia quasi a piangere l’emigrato, tanto che vorrebbe condividere la sua gioia infantile con qualcuno, ma sa che i suoi amici tedeschi non apprezzerebbero, e allora si limita a far rodere il culo unicamente a una persona: il suo capo. Tò beccati questo!


L’aria aperta

Leggere in riva al mare: un lusso dimenticato. L’emigrato ringrazia per quel momento di vita vissuta pienamente, respira profondamente cercando di non tralasciare nemmeno un briciolo di aria buona, che gli servirà al suo rientro.

Il corpo freme, i ventricoli cominciano a pulsare forte, contraendosi e rilassandosi all’impazzata, in una dolce esperienza tachicardica non meglio identificata. È così che l’emigrato scopre di soffrire di pressione bassa, seduto sotto un sole che non lo vuole più, tradito da anni di nuvole e grigiore.

Arriva poi l’ora di pranzo, l’emigrato si trascina verso casa tra svarioni e debolezze, e ad attenderlo, i suoi vecchi coinquilini, ormai nonni, agitati come se l’ospite d’onore non fosse semplicemente il loro pargolo un po’ acciaccato. Presentano a tavola decine di pietanze, tutte accomunate dal fatto di avere un sapore. È felice l’emigrato: si nutre soddisfatto e gaio, dimenticando che per cucinare, sua madre, utilizza tutto l’armamentario disponibile nella stanza, e visto che i piatti toccheranno a lui, non è più tanto felice.

Il giro tra parenti e amici continua spensierato, tra un caffè all’ombra per evitare svenimenti (che tristezza), e un aperitivo lungo una cena. Finalmente può dedicarsi interamente ai suoi amici, l’emigrato, implorandoli di andare a trovarlo, perché sente terribilmente la loro mancanza, e già che ci sono, che portassero anche un pezzettino di tramonto con loro, così da mostrare ai profani cos’è che davvero conta.