L’avevo ribattezzato Marco, senza una logica motivazione apparente, perché odiavo il suo nome dal gusto esotico, lui che di esotico aveva ben poco, con quei capelli mediterraneo scuro e la pelle dorato croccante.
Quello che i suoi genitori avevano scelto per lui non era sicuramente un nome adatto. No, no, lui era proprio palesemente un Marco.
Aveva circa trent’anni, fisico scolpito, bello come il sole, vestiva esattamente secondo i miei gusti e non smetteva mai di sorridere. Marco sapeva sempre cosa dire per ottenere il mio consenso, conosceva a menadito le piccole romanticherie di cui andavo pazza, e non faceva altro che propormele sotto le più disparate forme: un giorno un regalo, un giorno la mia cena preferita, un giorno un fiore e un altro una conchiglia che sussurrava il mio nome.
Marco aveva conquistato il mio giovane cuore palpitante con il suo piglio ironico e il magnetismo dei suoi occhi profondi. Facevamo progetti grandi, e io ero lì, protagonista indiscussa di una fiaba meravigliosa dai contorni perfetti.
Immaginavo per noi una vita piena di figli e una casa bellissima, arredata con pezzi unici che mi sarei divertita a disporre in mille maniere diverse, tanto non c’avrei avuto una beata minchia da fare, impegnata come sarei stata nel condurre una vita da vera signora.
L’esistenza scorreva tranquilla e serena, forse un po’ troppo tranquilla e serena, tanto che nell’ultimo periodo i discorsi si erano un po’ appiattiti in favore di argomenti di superficiale interesse: usciamo stasera? Mi sta bene questo vestito? Ti va una passeggiata? Cosa danno in TV stasera? 
dscn3970Un po’ monotona come interazione. Lo guardavo per tempi interminabili con stima infinita, ma la scintilla di un tempo aveva lasciato il posto a una nuova libera consapevolezza. Avevo cominciato a farmi delle domande, ma non trovavo le risposte giuste. Così la nostra storia tramontò, un giorno d’estate.
 
Era giunto il momento di diventare una donna.
Con convinzione e forza, all’età di 13 anni, ho ufficialmente chiesto il divorzio a Ken e tutte le mie Barbie, con disperazione della mia cuginetta più piccola che aveva perso la compagna di giochi di una vita.
Ora ti sembra orribile, lo so“, tentavo di consolarla “ma un giorno capirai anche tu“.
E con fare quasi teatrale, voltai le spalle al mondo idilliaco delle bambole. Dopo anni di training compulsivi, ero finalmente pronta per buttarmi nella mischia della vita vera, ad assaporare con ingordigia ogni aspetto di cui fino ad allora avevo potuto nutrire solo la mia fervida immaginazione di bambina.
Chissà dove sarà il mio Marco in pelle e ossa? Cosa starà facendo in questo momento?
Continuavo a chiedermi con aria sognante. Finché il mio sguardo torna nella realtà e si dirige verso il pavimento, dove alloggiano indisturbati pantaloni, magliette, libri e bottigliette d’acqua vuote
. “Ah ecco dov’era l’infame!“. A casa mia sistemare i vestiti usati sulle sedie è considerato anticostituzionale, chiunque si azzardi rischia da 5 a 10 anni di reclusione; c’è addirittura l’ergastolo per chi osa appenderli dentro l’armadio.
Dovrei togliere fuori il carabiniere che c’è in me, ma poi ricordo che anche lui è maschio, e decido di lasciar perdere.
Vado ad aprire la finestra facendo un po’ di corsa ad ostacoli, solo che a differenza di quei dilettanti degli sportivi, noi abbiamo introdotto la varianteocchio al cellulare“, che spesso si nasconde furbescamente nelle tasche dei jeans, così, per dare un tocco piccante alla gara, sennò sai che noia.
La disperazione si plasma sulla mia faccia attraverso smorfie di disgusto e rabbia repressa, una voglia di sbraitare insulti feroci si impossessa di me, finché non si palesa sulla porta il mio “Marco“, con aria dispiaciuta, quasi contrita: “lascia quei vestiti, non ti preoccupare, ci penso io domani“.
Vi presento Marco, il procrastinatore.
Mentre scegliamo il film per il dopo cena, scatta il colpo di fulmine con una liquirizia nascosta nel ripiano del tavolino. Darei qualsiasi cosa per poterla addentare come si deve, ma purtroppo ultimamente ho una relazione intensa con il mal di denti, e devo desistere. Ma lui se ne accorge, nota un filo di frustrazione nel mio sguardo e si offre di srotolarla per me, per evitare che io mi faccia male. A suon di morsetti la liquirizia si dipana in un lungo cordone pronta per essere divorata, e io, in quel gesto così semplice e dolce, ci ho visto tutto l’amore del mondo. Indumenti sul pavimento a parte, sono davvero fortunata.
Non sarà tutto ineccepibile come quando avevo il mio Ken, è vero, ma prima non potevo sapere che con tutta quella perfezione e bellezza, Marco non poteva che essere gay.