La strada giusta, un concetto superato 

Cul de mal asento (leggere asentu): trattasi di persona difficilmente gestibile, poco propensa allo star ferma, a tratti irrequieta, affetta dalla sindrome dei cambi drastici, repentini, inaspettati, che lascia sgomenti i più. Questi soggetti sono terrorizzati dalla routine e dalla noia, per questo, di colpo, sono capaci di ribaltare le proprie vite con pochi semplici click: prenotazione biglietto aereo nella nuova città, mail di disdetta casa alla padrona, scelta ostello per le prime settimane fuori, licenziamento, gruppo Facebook per festa di arrivederci con gli amici.
Cul de mal asento è un modo carino del mio dialetto per indicare fondamentalmente una persona che non sa che pesci pigliare, non sa dove andare, e nel dubbio, va dappertutto. Così amano apostrofarmi i miei genitori, arresi al fatto di avere una figlia con le idee poco chiare e avvezza agli spostamenti
Ho studiato tanto e cercato con tenacia la strada giusta, per approdare infine a una conclusione abbastanza banale: se non capisci qual è la via, è perché per te ce ne sono tante, e non puoi sacrificarle a vantaggio di una sola. Ho sempre nutrito una leggera invidia per quelli che era chiaro chi sarebbero diventati: l’ingegnere, il medico, la maestra. Perché loro sì e io no? Ma poi ho capito che nella mia indecisione ero fortunata anche io, ho capito che in mia compagnia non mi sarebbero mai mancate le occasioni di divertimento. 
Il mio culo è davvero uno che non riesce mai a star seduto a lungo, deve girare, esplorare, conoscere. E se in tutto questo oscillare e muoversi e correre non si fosse fatto scappare l’occasione di ridursi di qualche centimetro, ne avremmo giovato tutti, ma si vede che lui preferisce così, e io lo rispetto.
Avere un sedere così, a parte quando misuro i jeans, è bellissimo. Non fosse stato per lui non avrei campato Ryanair, non avrei avuto belle foto su Instagram e avrei continuato a snobbare casa mia sognando quella degli altri. Grazie a lui ho rivalutato in chiave positiva parole violentate e maltrattate come precarietà, incertezza, futuro. Un giorno le ho prese e le ho fatte mie, caricandole di un’energia nuova, strappandole dal senso comune di bruttura e pericolo in cui erano state relegate, per includerle invece nel mare delle opportunità, dell’inventiva, della crescita.
È stato quello il momento in cui ho realizzato che la mia felicità non può dipendere dagli altri, da un capo che non vuole darmi l’aumento o un governo disattento ai miei bisogni, la mia felicità dipende solo da me e dalle mie scelte. La precarietà esiste, la disoccupazione dilaga, le preoccupazioni crescono, ma per quanto posso, cerco di sfruttarle ogni giorno valutando nuove possibilità di successo. È tipico della storia dell’uomo che le fasi di transizione spaventino sempre un poco, il segreto, quando possibile, è di non farsi prendere dal panico e di fissarsi sempre nuovi obiettivi, senza fermarsi mai.
Io, ad esempio, posso sempre contare su quell’esagitato del mio fondoschiena, facendomi guidare, all’occorrenza, verso nuovi lidi e nuove avventure, con grande gioia di mia madre e mio padre. 

Maria Maddalena, Lubecca