Berlino sotto zero

È vero che prima o poi doveva arrivare, ma io speravo fosse un po’ più poi che prima. L’inverno è qui, ora, visibile, non risparmia niente e nessuno. Quella delicata brezza marina che pugnala le guance, fa colare il naso in continuazione, che per soffiarlo bisogna sfilare il guanto da sci, comunque non sufficiente a creare calore, col risultato di perdere in 15 secondi l’uso della mano destra e di ritrovarsela poi tutta tagliuzzata e sofferente qualche ora dopo.
Però che fai? Non vai più a lavoro? Non vai a fare la spesa? Certo che sì. Bisogna solo sapersi organizzare. Una delle cose che mi piacciono di più di questa città è il fatto che solo una cerchia ristretta di persone abbia interiorizzato concetti astratti come buon gusto ed eleganza. Di certo non lo hanno fatto i tedeschi, per i quali la parola comodità regna sovrana, e forse, almeno in questo frangente, hanno capito tutto.img_7012
In momenti così, amo atteggiarmi da vera berlinese anch’io, a partire proprio dall’abbigliamento. Mai avrei pensato nella vita di poter accostare anche solo semanticamente dei pantaloni di tuta felpati a un paio di stivali col pellicciotto. Eppure sì, l’ho fatto, e voglio urlarlo senza vergogna! Ammetto di essermi macchiata di questa colpa imperdonabile, ma l’ho fatto, e la sensazione che ne è derivata dopo, oh sì, quella ha ripagato di tutte le pippe mentali sull’immagine, la femminilità e tutti i pensieri che in quegli attimi cruciali cercavano di ostacolarmi nel raggiungimento del mio picco massimo di sensualità: calzamaglia di lana, calzettoni alle ginocchia, pantaloni di tuta neri con rivestimento in pile, maglione nero, stivaletti Geox con doppia suola isolante e tre strati di lana soffice all’interno.
Evito lo specchio per non dover fissare nella memoria questa brutta immagine di me.
Mi faccio coraggio ed esco. Lego intorno al collo il laccio dell’orribile cappellino con pon pon e paraorecchie, e affronto la città nascosta sotto le bianche spoglie. Dopo aver percorso i primi metri, mi rendo conto che ho assunto inconsapevolmente un nuovo modo di camminare. Riesco a conciliare passetti brevi e ben piantati per terra, con un’oscillare di culo forse un po’ esagerato per quella velocità, alzando con ritmo costante le ginocchia, prima a destra e poi a sinistra, come se volessi scavalcare delle barriere invisibili. Ma lì sotto in effetti non c’è niente se non la mia paura di finire con le chiappe per terra.
Comincio a sudare, nonostante la temperatura sia di meno 8 gradi sotto lo zero. Tutto questo misto di neve e ghiaccio mi mette l’ansia, e come se non bastasse comincio a non sentire più le caviglie. Dovrei accelerare, ma si tratta di un’ipotesi non contemplata nelle stanze del mio cervellino. Continuo con la mia andatura da foca e cerco di non pensare al freddo che nel frattempo si sta impossessando delle mie membra, senza esclusione di colpi.
Di tanto in tanto i miei piedi accennano a un balletto alla Michael Jackson, ma io resisto, mi concentro, resto in equilibrio. Riuscirò mai ad arrivare in pizzeria senza dover chiamare i soccorsi? Di questo passo arriverò alle 20:00 del week end successivo, ma l’importante è salvaguardare l’incolumità e la faccia.
Tolgo il muso dalla sciarpa sbavata e rifletto su quanto Berlino sia diversa ad ogni stagione che passa. Ogni quarto dell’anno la città cambia completamente faccia, e ora vorrei tanto che al posto di questi cumuli di neve e ghiaia, ci fossero fiori, foglie verdi, cinguettii di uccelli, raggi di sole. Quand’ecco che mi viene l’illuminazione. Forse vedo Berlino così diversa perché… mi sono persa. Cazzo.
Questo significa solo una cosa. Devo togliere il cellulare dalla tasca e vedere dove sono finita, ma prima di tutto, devo levare i guanti!
Un minuto di silenzio per gli arti quasi defunti.
Ho 10 secondi di tempo prima che la mia mano cominci a pulsare in vista della paralisi. Cerco di imprecare senza piangere per evitare la formazione di stalattiti ghiacciate sotto gli occhi, poi comincia la tortura: è come se qualcuno si divertisse a martellarmi le dita in più punti contemporaneamente, perdo la sensibilità, potrei sbattere questi bastoncini ibernati contro una parete, e anche spezzandoli non sentirei nulla. Ma perché devo subire tutto questo? Non bastava la Germania come punizione divina?
[…] Finalmente mi ritrovo nel tessuto urbano e proseguo verso la meta finale; sospiro sognando il momento in cui potrò di nuovo rotolarmi sul prato verde di un parco. O sulla sabbia bianca di una spiaggia mediterranea, punti di vista.
Certo, queste temperature non sono il massimo della gioia, ma prima di ogni estate, deve comunque passare un inverno, perciò tanto vale gustarne ogni singolo aspetto, seppur difficile, in attesa del godimento finale a lungo atteso.