Acido è figo?

Ora. Non voglio fare quella che “in Germania le cose funzionano meglio”, “si vive meglio”, “ti pagano meglio” (anche perché a volte ti pagano peggio e sul vivere, beh, non farei delle affermazioni così azzardate). 

Ormai ho lasciato Berlino da più di un anno: la mia testa è completamente immersa nella vecchia/nuova vita sarda, tutto passato, finito, la bua non c’è più. Ma nonostante il distacco e le dimenticanze (evidenti soprattutto a livello linguistico e culinario – si vedano a titolo esemplificativo le chat con gli amici tedeschi, a cui rispondo ormai a monosillabi per non fare figure di merda, e il divieto a würstel e kebab di entrare in cucina) ci sono dei momenti in cui è inevitabile fare dei paragoni con lo svolgimento della quotidianità qui e lì. Specie quando qualcuno mi fa uscire fuori dai gangheri. Il che capita abbastanza di frequente, come avrete capito. 

L’Ausbildung

In Germania esiste una cosa chiamata Ausbildung, che sarebbe l’alternativa all’università per chi desidera fare un mestiere non accademico. Si tratta di percorsi formativi alternati tra didattica e lavoro, in cui le persone hanno la possibilità di studiare e, nel frattempo, fare un periodo di praticantato retribuito (che di solito va dai due ai tre anni). 

La cosa che mi piace di più di questo sistema, è che tutti i lavori godono di una certa importanza: prima di caricare un povero Cristo di responsabilità e mandarlo a contatto con il pubblico senza cognizione di causa (tipo quelli che vengono spinti in acqua per imparare a nuotare), si riceve una formazione adeguata e continua, sia sui prodotti/servizi venduti, sia sulla relazione con le persone e tante altre cose inerenti al settore scelto. 

Il fatto è che ogni mestiere è utile, degno di istruzione, di approfondimenti: dalla persona che ti vende le piante, fino al panettiere. Non mi risulta che qui da noi funzioni allo stesso modo, e di grazia nessuno compari quel piccolo fallimento di alternanza scuola-lavoro, che era una trovata abbastanza diversa. La cugina brutta, insomma. 

Quando ero ragazzina io, bastava girare con il curriculum in mano tra i ristoranti, le gelaterie e i negozi di abbigliamento e, se c’avevi culo ti prendeva qualcuno, se ne avevi di più e nessuno ti assumeva, ti sparavi tutta l’estate al mare a cazzeggiare con gli amici tra una partita di Cirulla e un bagno di mezzanotte. 

Ma veniamo al punto

Ho cominciato a farmi tutte queste seghe mentali su Italia e Germania dopo aver ricevuto l’ennesima acidata all’interno di un negozio. Le prime volte te ne fai una ragione, ma poi ci sta anche che ti si rivoltino i coglioni. 

Nel tempo mi è capitato di sentire racconti validi da parte di persone collocate sui diversi lati della barricata. Da una parte c’è chi lamenta la scarsa disponibilità mostrata dagli addetti alle vendite, dall’altra chi denuncia la maleducazione dei clienti. Non appartengo alla scuola del “cliente ha sempre ragione”, anzi. Ma un’acidata non salva una vita, fa solo apparire come dei grandissimi stronzi, specie se elargita così, dal nulla. Ci sta che uno voglia improntare tutto il suo personal branding su questa caratteristica pungente e assolutamente originale. Ma a quel punto non escluderei la possibilità di optare per un mestiere da svolgere in solitaria, dentro una stanzetta buia, circondato di carte, documenti ed esseri inanimati. 

La diavoleria del commercio online

Forse consideriamo i lavori non accademici come di serie B, indegni di studio e formazione, alla stregua di tappabuchi per portare a casa uno stipendio. Forse riteniamo svilente svolgere determinate mansioni, non si spiegherebbe sennò perché si sentano spesso minacce del tipo “studia sennò finisci a fare la cameriera”. In Germania no, non si dice, visto che con le sole mance, i camerieri guadagnano più degli impiegati. Forse le persone sono stanche di essere pagate male, di lavorare la domenica e i festivi. Boh. Sinceramente non so quale possa essere la ragione di fondo, ma questo non è un blog di sociologia né lo studio di una psichiatra. 

In questo periodo di crisi, nel mio piccolo, cerco quanto più possibile di fare acquisti a livello locale, per supportare le attività del territorio. Non è che se una persona mi si rivolge a imperativi e punti esclamativi mi fa cambiare idea su tutti i commessi del mondo. Anche perché per ogni stronzo incontrato ne esistono dieci simpatici e competenti, per fortuna, creando il giusto equilibrio nell’ecosistema. È solo che poi, quando mi rilasso sul divano e trovo lo stesso prodotto su Internet, magari scontato, consegnato comodamente a casa, è forte la tentazione di acquistare con un click. L’economia locale ne risentirà, ma non il mio umore. Lui ne uscirà illeso, insieme al fegato e tutti gli organi a cui di solito tocca sorbire le altrui frustrazioni.