Non si finisce mai di imparare

Avevo dimenticato cosa significhi vivere nel caldo dell’estate sarda. Cioè; non è che l’avessi proprio dimenticato dimenticato. È che non l’avevo mai sperimentato nel corpo di una trentenne. Ricordavo che fosse una sensazione totalizzante, questo sì; ma non così tanto, per gli dei.

Sì ok, l’aria condizionata. E grazie al cazzo. Non tutti ce l’hanno e poi chi se li gratta la cervicale e i dolori alle ossa? Non sottovalutiamo il fattore “età che avanza“, please.

L’avvento di Berlino

Per diversi anni ho potuto godere dell’estate nordeuropea che, se per certi versi non è del tutto piacevole, dall’altra può stupire con magnifiche sorprese. Il nostro mini appartamentino, o grande stanza, a seconda di come lo si volesse interpretare, è stato una di queste. Indecente alla vista, essendo stato progettato in epoca di architettura sovietica, ma super confortevole nelle giornate bollenti. E a chi ci diceva senza tregua che mai e poi mai avrebbe abitato a un piano terra, che vuoi mettere il casino, la polvere, l’assenza di luce (ah ah ah, assenza di luce a Berlino, fa già ridere così), noi rispondevamo facendoci delle gran dormite notturne con pigiamino e finestre serrate, senza sofferenza, senza sudate. Anche ad agosto.

Va bene, il pigiamino lo usavo solo io. G. la viveva in maniera leggermente diversa.

Ciò non significa che a Berlino l’estate sia fredda. Tutt’altro. Ho rischiato lo svenimento a più riprese. In Germania può fare talmente caldo che, per disperazione, anche il più miscredente accetterebbe di buon grado una visita in chiesa, dato che risulta essere il luogo più fresco di tutti e in cui non si è costretti a consumare per stare seduti.

Notti d’estate

L’avanzare degli anni, che da una parte mi ha reso particolarmente sensibile alle alte temperature, dall’altra non ha intaccato la mia naturale predisposizione al problem solving creativo; secondo consiglio di mia madre poi, generalmente poco incline agli stati ansiosi, ho fatto in modo di progettare il rientro in patria d’inverno, così che il corpo potesse abituarsi gradualmente all’arrivo del caldo. “Figlia mì, sei bianca cadaverica, e poi la pressione bassa… a te il primo caldo ti ammazza se non ti riabitui in fretta“.

Certo, questa sarebbe anche un’ideona se solo non abitassimo su un’isola dove si passa dai 15 ai 38 gradi dal giorno alla notte.

Ma così non è, perciò, ho messo in campo tutti i mezzi a disposizione per superare indenne il periodo. A mia madre ho delegato la parte dell’assistenza divina, che non guasta mai, mentre io mi sono concentrata sulla tecnica, purtroppo non senza effetti collaterali.

Va bene dormire nudi, va bene farlo sul pavimento ghiacciato, va bene farsi accarezzare dalla brezza marina e dall’umidità della notte piazzandosi davanti alla finestra; ma poiché il prezzo da pagare sarebbe minimo minimo un raffreddore e, sappiamo benissimo che starnutire in pubblico di questi tempi è considerato alla stregua di un attacco terroristico, c’è stato veramente poco da fare.

Dunque, come affrontare e combattere il caldo proteggendo allo stesso tempo la salute? Non si può.

Location ragionate

Le ore diurne in una casa senza condizionatori (perché sì, nemmeno in questa casa ce li abbiamo), si possono affrontare solo in due modi: simulando una prematura discesa negli inferi, con tutte le tapparelle abbassate e un’ambientazione da thriller psichedelico, oppure ripiegando su un banalissimo ventilatore. Quest’ultima non è sicuramente la soluzione a tutti i mali del mondo, visto che l’aria che gira è sempre la stessa e ricorda la sauna, ma sempre meglio che prosciugarsi da fermi. L’unico cruccio che mi sento di consigliare è di scegliere bene la location in cui posizionare il meccanismo. Se vivete con un G. anche voi, e qui mi rivolgo alle amiche lettrici, fate sempre in modo che il flusso di corrente proceda prima verso di voi, poi verso gli altri abitanti della casa.

Ipotizziamo che in un pomeriggio d’agosto ci sia così caldo da non volersi nemmeno arrischiare ad andare al mare. E ipotizziamo pure che vi ritroviate a guardare un film con il vostro partner per ingannare il tempo, che di sfoderare atteggiamenti seduttivi, se ne riparla in autunno quando non c’è rischio di restare appiccicati; e ipotizziamo infine che al vostro partner non dispiaccia esibirsi in sinfonie intestinali.

Con il ventilatore puntato su di lui, il vento trascinerebbe la nube tossica dritta dritta nel vostro naso; e sai che figata. Personalmente, dopo la disgrazia, ci ho messo un quarto d’ora per riprendere a respirare aria che non sapesse di cena del giorno prima, state molto attente.

Prima il fetore ci avrebbe messo un po’ per propagarsi nell’aria con il suo strascico di terrore e morte, ma il ventilatore non perdona. Non siete costrette a scegliere tra l’aria artificiale e il vostro amato, ma nemmeno tra asfissia e deiezioni. Nel dubbio, io opterei per il caldo, in modo che la locuzione “mangiare la merda“, resti ancora e per molto tempo, solo un delizioso modo di dire.

Foto di _Marion da Pixabay