Il piantone di Alexanderplatz

Avete presente come si sente un emigrato tornato a casa? È come se vivesse in una bolla gigante, da cui osserva stordito un mondo che si muove a rallentatore, che non gli appartiene. Le persone parlano e lui riflette sul fatto che sta capendo tutto senza particolari sforzi, anziché ascoltare quello che viene detto. Alcune sorridono addirittura senza motivo, ma lui non ricambia la cortesia perché tutto quel calore umano lo mette a disagio. Guarda i luoghi di una vita con un senso di familiarità e distacco, sdoppiandosi tra il sé di prima e il sé di adesso e non è raro che si chieda: “ma dove cazzo sono finito?”.

La sensazione non è bella per niente, lo dico per esperienza e, il fatto di essere lì in quel momento, consapevole dell’assenza di un biglietto di ritorno in terra straniera, è come una bomba sganciata sulla testa. Solo che la bomba, se indirizzata bene, ha il potere di annullarti completamente. Con il rientro invece, bisogna farci i conti senza possibilità di delegare.

Discorsi costruttivi

Menomale ci sono le persone a mettere il rimpatriato a proprio agio. Da una parte quelli che dicono “eh, qui si sta molto meglio. Casa è sempre casa”. Dall’altra quelli che invece se ne escono con frasi tipo: “eh, in Germania sì che si sta bene, che accidenti sei tornata a fare qui che non c’è lavoro!”, ma l’unico viaggio esotico che abbiano mai organizzato in vita loro è stato quello a Città Mercato a Sassari.

La stessa solfa naturalmente bisognava subirsela anche all’inverso: è dai tempi dell’università che colleghi e conoscenti mi dicevano a ripetizione: “Oddio ma sei sarda! Cioè che figata la Sardegna! Ma che ci fai qui al nord? Poverina ti mancherà il mare“. Un po’ come essere approcciati con la scusa del “ti ho già visto da qualche parte“, un evergreen che però ha anche ampiamente rotto le balle, dai.

Il trionfo del luogo comune

Tralasciando la questione delle opinioni non richieste, per cui si potrebbe scrivere un trattato tipo “Dire la propria su tutto e la vastità del cazzo che frega agli altri“, il fatto di vacillare costantemente tra i pro-casa e i pro-estero, non aiuta una situazione già abbastanza bipolare di suo.

La sanità è meglio là, il sistema pensionistico ci fa un baffo, la qualità della vita è più alta, gli stipendi pure, le opportunità manco a parlarne. Eppure, non si sa come, ad asserire cotante verità sono sempre quelli che alla fine la vita se la sono passata tutta in Sardegna, andando al mare da maggio, godendosi giornate di sole pieno anche a gennaio, a fare le arrostite di pesce in campagna e facendosi milioni di pippe guardando il tramonto sparire dietro Capo Caccia.

Assenza di luce e altre cose

A detta loro avrei dovuto passare il resto dei miei giorni a contare le ore di luce nell’inverno di Berlino (17 in totale a gennaio 2018), a lottare per uno stipendio equo rispetto ai colleghi maschi (ma dai? Quindi tutto il mondo è paese?), a sognare i fiori di zucca in pastella di mia zia e vedere crescere i nipotini dallo schermo del telefono. Tutte ingiustizie che non meritano a mio avviso i privilegi di vivere in una terra obiettivamente più progredita della nostra.

Non voglio dire che se uno decide di tornare sono solo affari suoi (anche se il principio sarebbe quello); è che chi non ha mai fatto l’emigrato, cioè quello che passa la maggior parte del tempo a districarsi nei meandri della vita reale in un paese straniero, fondamentalmente non ha un’idea di cosa ci sia in ballo. Dall’esterno sembra tutto perfetto, un sistema infallibile che non lascia indietro nessuno, in cui non ci si annoia mai. Ma ogni paese ha la sua falla e, anche la Germania ha la sua, e non di poco conto. Non sto parlando della bontà o varietà di ricette rispetto alle loro; oltre a essere un paragone banale non rispecchia la realtà. Il clima? Basta andare oltre le Alpi e credo faccia cagare in egual misura da tutte le parti.

Sto parlando della scarsità di materiale umano penedotato di prima qualità. Se in una metropoli come Berlino l’unica fauna degna di nota è costituita quasi esclusivamente dai poliziotti, secondo me c’è un problema. E pure grave. Possibile che gli unici esseri umani boni in tutta la città siano loro? E le poliziotte? Delle bellezze pazzesche che manco su Postalmarket.

Sono talmente tutti belli che a uno alla fine il dubbio viene. I controllori della metro sembrano avanzi di galera, mentre quelli della Polizei, dei modelli che non hanno passato le selezioni finali per le sfilate di Armani. Non può essere una casualità.

Tirano talmente tanto che quando avevo il radar in standby, era lo stesso G. a indicarmi la loro presenza nei paraggi. Per me era come un piccolo regalo di Natale consegnato in anticipo, una micro gioia innocente capace di farmi passare anche il più grosso degli incazzi. E vederli in azione a Kreuzberg poi… l’apoteosi. Non fraintendetemi. La mia apoteosi l’ho raggiunta quando ho conosciuto G., ma l’occhio va comunque tenuto in allenamento, non facciamo troppo i bigotti.

Mancanza di sostanza

Ho girato l’Europa in lungo e in largo e, a parte Parigi, dove gli occhi traevano nutrimento di continuo, per il resto delusione totale. Ogni volta che esco con G. nella minuscola Alghero (che è comunque più grande di Sondrio, a detta delle mie amiche valtellinesi) gli indico tutti i ragazzi per cui ho avuto un’infatuazione nel corso della mia carriera amorosa.

A parte chiari segni di libido senza controllo, (perché certi elementi… Dio mi aiuti), mi sento di affermare che il Mediterraneo è un mare in cui pescare è veramente un’attività degna di nota. Va beh che ai tempi del liceo mi sarei coricata pure un portabiancheria, ma, parola mia, a Berlino questo panorama se lo sognano. E comunque lì c’è una legge universale (che ancora stento a comprendere), che recita: vai tranquilla che se è bono è pure gay.

Fortuna che con G. al mio fianco tutti i subbugli giovanili hanno ritrovato la giusta collocazione. Ma fortuna anche che siamo tornati a vivere in Italia: meglio una passeggiata sul lungomare che ad Alexanderplatz, a meno che non ci sia un piantone di guardia.