Ritorno a Berlino

BERLINO

Stavamo per atterrare a Berlino e c’era un vento terribile.

È questo il benvenuto che mi riserva la mia nuova città“, ho subito pensato tra un attacco di panico e l’altro. Non che il vento sia di per sé una grande notizia quando si vola, ma per me è il metro di misura fondamentale per distinguere un buon volo da un volo di merda. E quel giorno era proprio uno di quelli, uno in cui a un certo punto ti chiedi dove hai sbagliato, perché la scelta sia ricaduta proprio sul 15 aprile e non magari sul giorno dopo, o quello prima, o uno in cui l’unica cosa a soffiare potevano essere al massimo passeggeri impazienti o gli sbocchi dell’aria condizionata.

Tramortita dall’atterraggio infinito e ballerino, vedo subito il mio G. tra la folla: è arrivato in Germania prima di me, o meglio, ci è tornato, visto che Berlino per lui era una vera e propria seconda residenza. Ho la faccia di un pallido morte tutt’altro che attraente, eppure lui è lì e mi sorride, mi abbraccia, e l’unica cosa che posso dirgli in quel momento è una e una sola: “Comprami una Coca Cola“. Il mio antidoto contro qualsiasi male.

VECCHI RICORDI

Non ricordo granché di Berlino, sono stata qui sei anni fa in novembre, un mese più che valido per dimenticare. Ho memorie sparse e grigie, di cantieri e cavalcavia scuri, di cieli plumbei e minacciosi, di piogge, di febbri deliranti e buio pesto. Ma adesso è aprile, e nonostante i venti del Nord si siano dati tutti appuntamento qui oggi, c’è il sole.

Prendiamo la S-Bahn in direzione Prenzlauer Berg, ma facciamo giusto in tempo ad arrivare a Friedrichshain, perché l’idea di vomitare l’anima davanti al ragazzo con cui esco da pochi mesi, non mi sembra la migliore in quel momento, e gli chiedo di scendere. Facciamo quindi una piccola deviazione, così da far prendere un po’ d’aria al catorcio in cui mi sono trasformata nel frattempo e fare un primo mini giro turistico.

LA RIGAERSTRAßE

Tra tutte le attrazioni che offre il quartiere, i punti storici, gli scorci metropolitani o i palazzi della vecchia DDR, il mio G. pensa bene di portarmi a passeggiare sulla Rigaerstraße, nota per la massiccia presenza di case occupate e relativi inquilini. La cosa non mi disturba ma mi crea un leggero disagio. Per quanto gli abitanti della via si stiano facendo gli affari propri, mi sento osservata da presenze oscure. Una bambina esile e indifesa, nonostante la stazza tutt’altro che mingherlina, al cospetto di omoni e donnone tatuati, bucati di piercing in ogni dove e con capigliature non proprio sobrissime.

I palazzi sono graffitati e a tratti fatiscenti, ma conservano un’aura creativa e vivace: non vogliono sembrare originali e fuori dagli schemi a tutti i costi, lo sono e basta. Naturalmente anticonformisti. Questa è una delle anime di Berlino sopravvissuta al Muro, il lato Punk e dissidente che tenta con ogni mezzo di sopravvivere alla speculazione edilizia che giorno dopo giorno sta divorando questa città. È come essere spettatori dell’ultimo spiraglio di diversità prima che anche Berlino si allinei alle leggi omologanti dei mercati occidentali.

BERLINO CAMBIA

Le cose cambiano rapidamente, e quella che prima era considerata meta economica per studenti e lavoratori, sta diventando come una qualsiasi Londra o Parigi d’Europa.
Immersi in questi pensieri, con G. che mi racconta aneddoti legati alla sua gioventù berlinese, e io che taccio tentando di tenere a bada conati e sussulti, sbuchiamo nella Bersarinplatz, a due passi da Frankfurter Tor, per proseguire finalmente su rotaie verso casa sua. Prendiamo al volo uno dei tram più gettonati della capitale, l’M10, il mezzo che per me rappresenta meglio l’internazionalità di Berlino, visto che a bordo è raro sentire persone parlare tedesco.

Scendiamo dal tram e proseguiamo per qualche metro a piedi: siamo arrivati all’incrocio tra la Eberswalderstraße e la Schönhauser Allee, non sapevo ancora quante volte avrei percorso quelle strade negli anni avvenire, e soprattutto non potevo immaginare i tuffi al cuore che avrei provato nel guardare i palazzi della zona, così eleganti che ti vien voglia di comprarli tutti, ma poi ti ricordi che sei povero.
Ho lasciato casa mia senza pensarci troppo, convinta che avrei potuto stabilirmi definitivamente in Germania dopo anni di nomadismo impulsivo.

Per il primo periodo è stato in effetti così: mi sentivo quasi sollevata per aver finalmente trovato un po’ di pace dopo lungo cercare. Berlino mi sembrava la sintesi perfetta in quel momento: grande abbastanza per avere sempre qualcosa da fare, libera da giudizi, ricca di opportunità, bella e accogliente. Dopo il primo incontro con la capitale tedesca nel 2009, avevo giurato a me stessa che non ci avrei più messo piede. Era stata sicuramente una bellissima vacanza (non sto enfatizzando perché il mio compagno di viaggio di allora ci legge) ma non era stato uno di quegli incontri per cui pensi, wow, mi trasferirei qui domani.

L’IDEA DELLA GERMANIA

Nel vagabondare successivo agli anni dell’università, tra una crisi esistenziale e l’altra, ricordo poi che mia madre se n’era uscita un paio di volte con l’idea malsana della Germania: “perché non provi a cercare lavoro lì?“, mi chiedeva. E io, inorridita di fronte a quella proposta da pazzi, credo mi limitassi a rispondere con urla e insulti. Quale persona dotata di buon senso sceglierebbe la Germania, e quindi il tedesco, come destinazione per farsi una vita? La fine del racconto lo conoscete già, ma confermo che i miei timori di allora non sono scomparsi del tutto. Nemmeno dopo quattro anni.

Anche per chiedere il caffè al bar avevo bisogno del traduttore simultaneo, figuriamoci poi per gli annunci in metropolitana, gli uffici per registrare il domicilio, la banca, e ogni minimo contatto orale con gli autoctoni. C’era il tanto da uscirne scemi.
A questo punto della storia, che è un po’ la storia di tutti, c’erano due opzioni possibili:

  • Mandare tutti a quel paese e fuggire
  • Rimboccarsi le maniche per non farsi sopraffare dalla disperazione

Pur non senza difficoltà, ho scelto la seconda strada. Per quanto sia stato un cammino impervio, sono felice di poter guardare indietro alla persona insicura che ero, immaginando di metterle una mano sulla spalla e sussurrarle che, adesso, va tutto bene.

LA SECONDA CASA

Non so quanto ancora durerà questa relazione movimentata con Berlino, ma sono grata di poter chiamare casa un luogo così lontano dalle mie origini, così diverso in tutte le sue manifestazioni. Significa che è possibile adattarsi ai contesti più ostili, che si può trovare del positivo in tutto, che non è mai tardi per mettersi alla prova. Per questo, ogni volta che penserò a Berlino, la visualizzerò in una giornata di primavera, con lo sfondo azzurro del cielo senza nuvole, e le sue case illuminate di una luce bellissima.